LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA E L'ECONOMIA DELLE PIATTAFORME: NUOVE PROSPETTIVE RIASSUNTO
I.
CONTESTO GENERALE
Una
varietà di situazioni
La
regolamentazione dell’ecopnomia delle piattaforme è estremamente diversa nei
vari Stati membri dell'Unione Europea, il che è particolarmente vero per quanto
riguarda la contrattazione collettiva in questo ambito. La varietà di
tradizioni giuridiche relative alla contrattazione collettiva negli Stati membri
si riflette nei loro diversi approcci alla (non) regolamentazione della
contrattazione collettiva per coloro che lavorano nell'economia delle
piattaforme.
La contrattazione collettiva non può essere l'unica
fonte di regolamentazione nell'economia delle piattaforme, ma deve essere
complementare, in misura minore o maggiore, al quadro legale. È chiaro che è
necessaria una comunicazione costante tra i diversi livelli di
regolamentazione, non solo a livello nazionale, ma anche a livello europeo ed
internazionale. Il ruolo dei decisori politici - non necessariamente attraverso
la legislazione - è di fondamentale importanza in molti paesi e si stanno già
esplorando nuove possibilitò in luoghi come, ad esempio, Bologna (Italia) con
lo sviluppo di una Carta locale.
Quando
si valuta il panorama europeo della contrattazione collettiva nell'economia
delle piattaforme, si devono prendere in considerazione numerosi fattori.
In
primo luogo, l'economia delle piattaforme non si è sviluppata allo stesso modo
nei diversi Stati membri. Anche se è difficile identificare la proporzione
reale di persone che lavorano con questa formula, le statistiche mostrano che
c'è un numero notevole di lavoratori delle piattaforme in alcuni Stati membri,
come l'Italia o la Spagna. D'altra parte, questo fenomeno è praticamente
inesistente in altri Stati, ad esempio in Romania o in Ungheria.
In secondo luogo, le
attività che si svolgono sotto il nome di "economia delle
piattaforme" o gig economy sono diverse le une dalle altre; ci sono
molte classificazioni divergenti. La classificazione più chiara comprende, in
un gruppo, le cosiddette "attività offline" che possono essere
ricondotte all'idea di "lavoro on-demand", e nell'altro gruppo, le
cosiddette "attività online" che possono essere etichettate come crowdwork.
Questa differenza tra attività offline e online ha un impatto diretto sui
canali di rappresentanza di questi lavoratori e sulla loro copertura nella
contrattazione collettiva, come descritto in questo rapporto. Inoltre,
l'attività online implica fattori di concorrenza transnazionale che non devono
essere trascurati quando si considera la futura normativa. La pandemia
covid-19, infine, ha offuscato in molti casi la distinzione tra telelavoro e crowdwork.
I rider,
i conducenti e i collaboratori domestici sono alcuni degli esempi più
caratteristici delle attività offline. Sono spesso al centro degli studi
sull'economia delle piattaforme, ma sono al centro anche quando si considera la
dimensione collettiva del diritto del lavoro nell'economia delle piattaforme.
Le nuove forme più importanti di espressione collettiva si trovano in questi
campi: le prime esperienze di successo della contrattazione collettiva hanno
avuto luogo in questi rami di attività. Perché? Ciò è dovuto alla loro natura
fisica, dal momento che sono servizi che esistono da molto tempo, e che ora
vengono offerti sul mercato all'interno di un nuovo modello di business, basato
su piattaforme e app. La vicinanza umana porta alla creazione di una
comunità e questo è stato il percorso che ha portato a un'espressione comune di
interessi, collegando i lavoratori on-demand agli attori tradizionali: i
sindacati.
D'altra
parte, la miriade di attività che possono essere classificate come crowdwork
sono più resistenti allo sviluppo della dimensione collettiva del diritto del
lavoro. La rappresentanza collettiva di crowdworker sta affrontando gli
stessi problemi identificati in precedenza riguardo al telelavoro e alle
relazioni collettive di lavoro: l'isolamento porta ad una mancanza di voci
collettive, anche se alcune pratiche, come la comunità "Turker",
possono essere considerate come pietre miliari nel campo della rappresentanza.
In ogni caso, il campo del crowdwork e delle attività online è ancora un
territorio inesplorato per la contrattazione collettiva.
Un
terzo elemento di varietà sta nella regolamentazione dello status lavorativo
dei lavoratori dell'economia delle piattaforme, dato che, negli ultimi anni,
non solo gli studiosi hanno discusso sul loro status di lavoratori subordinati o
autonomi, ma abbiamo osservato il proliferare di controversie giudiziarie a
livello nazionale ed europeo. In alcuni casi si è dovuto ricorrere a tribunali
superiori per raggiungere una decisione, come nel caso di Francia, Italia,
Spagna o Regno Unito. Anche se il modello imprenditoriale degli interlocutori
commerciali per i quali lavorano varia molto, la risposta è stata, come regola
generale, di classificare questi lavoratori come dipendenti soggetti a un
contratto di lavoro. Tuttavia, in altri casi, lo status di lavoratore è stato
negato. Questo è stato il caso dell'Atto della CGUE sul caso Yodel; un
"tribunal de l'entreprise" belga ha negato lo status di lavoratore ai
conducenti di Uber.
Per il
momento, l'episodio più avanzato per quanto riguarda lo status dei lavoratori
delle piattaforme è quello della legge rider[2]
spagnola, secondo la quale esiste una presunzione legale relativa
all'applicazione del diritto del lavoro alle attività di consegna e
distribuzione organizzate attraverso una piattaforma digitale. Ciò implica
conseguenze automatiche in termini di contrattazione collettiva, dato che
questi lavoratori sono obbligatoriamente inclusi nei rispettivi contratti
collettivi. Questa legge rider è un primo (piccolo) passo verso
l'inclusione dei lavoratori delle piattaforme nel quadro generale della
regolamentazione del lavoro sotto l'egida del diritto statutario.
Verso
un modello misto di contrattazione collettiva? L’ambito soggettivo della contrattazione
collettiva nell'economia delle piattaforme
La
situazione spagnola è un'eccezione. Nella maggior parte dei paesi non esiste
una legislazione esplicita sullo status giuridico dei lavoratori dell'economia
delle piattaforme, e ciò ha delle ripercussioni dirette sulle loro possibilità
di contrattazione collettiva.
Tradizionalmente,
i contratti collettivi vengono stipulati per regolare il rapporto di lavoro.
Pertanto, dal lato dei lavoratori, l’ambito soggettivo di applicazione era
limitato ai lavoratori salariati, mentre i lavoratori autonomi erano
generalmente esclusi dalla contrattazione collettiva, fatta eccezione per
formule specifiche in alcuni paesi, come la Germania. Tuttavia, in linea con la
sua precedente giurisprudenza, la CGUE afferma nella sentenza FNV Kunsten
che gli unici contratti collettivi che non violano il diritto comunitario della
concorrenza sono quelli negoziati tra "parti sociali". Tuttavia, la
Corte ha anche affermato, nella medesima causa FNV Kunsten, che i
contratti collettivi per "fornitori di servizi in una situazione
paragonabile a quella dei ... lavoratori" non rientrano nell'ambito di
applicazione dell'articolo 101 TFUE (paragrafo 42). Inoltre, un fornitore di
servizi può perdere il suo status di impresa "qualora non determini in
modo autonomo il proprio comportamento sul mercato, ma dipenda interamente dal
suo committente, per il fatto che non sopporta nessuno dei rischi finanziari e
commerciali derivanti dall’attività economica di quest’ultimo e agisce come
ausiliario integrato nell’impresa di detto committente" (paragrafo 33).
Questo sembra consentire un'interpretazione a favore della conclusione di
contratti collettivi per "fornitori di servizi paragonabili a quelli dei
lavoratori" senza violare il diritto antitrust dell'UE. Tuttavia,
rimangono delle incertezze, ad esempio su come determinare quali fornitori di
servizi siano realmente comparabili. Il Diritto della Concorrenza è quindi
visto come uno degli ostacoli più importanti sulla strada verso un nuovo
modello di contrattazione collettiva con un campo di applicazione ampliato.
Alla
luce di queste incertezze, la Commissione Europea ha recentemente lanciato un
processo di consultazione sulla questione dei contratti collettivi per i
lavoratori autonomi. La questione centrale è se l'ambito di applicazione delle
norme europee sulla concorrenza debba essere limitato nella misura in cui i
contratti collettivi stipulati per (un gruppo ancora da definire di) lavoratori
autonomi debbano essere esentati dalle norme sulla concorrenza dell'UE. Si
attende una Comunicazione entro la fine del 2021 che può portare o meno a un
cambiamento di paradigma.
Per
concludere, si possono identificare due principali questioni problematiche
riguardo all’ambito soggettivo di applicazione della contrattazione collettiva
per i lavoratori delle piattaforme. In primo luogo, la situazione negli Stati
membri varia considerevolmente da uno Stato membro all'altro. Mentre in molti
Stati membri i contratti collettivi si possono stipulare solo per i lavoratori subordinati,
in altri Stati membri i contratti collettivi possono essere stipulati anche per
persone che non si possono classificare come subordinati. In altri, è possibile
dichiarare che i contratti collettivi sono applicabili ai lavoratori non subordinati.
Altri Stati membri hanno stabilito modelli di contratti collettivi che non
hanno lo stesso effetto dei contratti collettivi tradizionali. Tuttavia, il
problema principale è che non esiste una definizione uniforme di quali siano le
persone alle quali - in termini molto generali - si estenda il campo di
applicazione dei contratti collettivi. Questo è direttamente collegato alla
seconda problematica, l'interazione tra le norme nazionali sulla contrattazione
collettiva e la legislazione UE in materia di concorrenza. Da un punto di vista
teleologico, la giurisprudenza della CGUE può essere interpretata a favore dei
contratti collettivi conclusi per i fornitori di servizi simili ai lavoratori
salariati che non sono coperti dalla legislazione in materia di concorrenza
dell'UE. Tuttavia, non esiste una definizione di questi fornitori di servizi
simili ai lavoratori salariati, il che rende difficile per le parti sociali
nazionali, nonché per i legislatori nazionali, agire in conformità con la
legislazione dell'UE quando si estende l’ambito soggettivo di applicazione della
contrattazione collettiva.
II.
FONTI SOVRANAZIONALI
Il
possibile ruolo del Diritto dell'UE
Qualunque
sia la portata della possibile legislazione, è chiaro che gli Stati membri e le
parti sociali nazionali saranno i principali attori in questo ambito. Tuttavia,
dall'inizio della ricerca del progetto COGENS, la possibilità di un intervento
dell'UE nell'ambito dell'economia delle piattaforme si è fatta sempre più concreta
e, già nel febbraio 2021, la Commissione europea ha avviato un processo di
consultazione su un'eventuale azione per affrontare le sfide legate alle
condizioni lavorative nel lavoro nelle piattaforme.
Un'ipotetica
direttiva che regoli il lavoro nelle piattaforme a livello UE potrebbe
prevedere diritti di contrattazione collettiva per i lavoratori dell'economia
delle piattaforme, come delineato nella consultazione, in un articolo o in un
capitolo. Non c'è dubbio che l'Unione europea potrebbe legiferare in materia di
diritto del lavoro collettivo, come menzionato nell'articolo 153(1)(f) TFUE. La
competenza di cui all'articolo 153(1)(b) TFUE fornisce la base giuridica
necessaria per questo compito se si regolano solo le condizioni di lavoro, ma
il riferimento all'articolo 153(1)(f) TFUE alla "rappresentanza e difesa
collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro" fornisce
una solida base per lo sviluppo di aspetti del diritto del lavoro collettivo.
Ovviamente questa situazione richiederà l'unanimità del Consiglio per approvare
una direttiva.
Questa
possibile evoluzione deve però essere estremamente rispettosa delle competenze
e delle tradizioni nazionali. La Direttiva 2002/14/CE ne è un chiaro esempio,
poiché stabilisce una base comune che può essere facilmente applicata in tutti
gli Stati membri. L'identificazione di specifici rappresentanti dei lavoratori
deve essere lasciata alle leggi e alle pratiche nazionali. Tuttavia, la
promozione di norme specifiche per i lavoratori dell'economia delle
piattaforme, come la "digitalizzazione" delle unità elettorali o la
creazione di modi per assegnare più facilmente la rappresentanza a questo tipo
di lavoratori sono contenuti adeguati a una regolamentazione sovranazionale.
Ad
ogni modo, l'Unione potrebbe ricorrere ad altre possibilità più audaci.
L'articolo 115 TFUE continua a permettere, come fa dal 1957 quando era il
numero 100 del Trattato CEE, «il ravvicinamento delle disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative degli Stati membri che incidono direttamente
sull'instaurazione o sul funzionamento del mercato interno.» Partendo da questa
base giuridica, l'Unione Europea potrebbe adottare una direttiva che crei un
livello minimo di diritti per le persone che lavorano nell'economia delle
piattaforme, indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica nazionale.
In tal modo si rispetterebbero le competenze nazionali, si garantirebbero i
diritti e si fornirebbe una risposta sovranazionale a una situazione
sovranazionale.
La
prospettiva dei diritti umani: il diritto alla contrattazione collettiva come
un diritto umano
Il
diritto alla contrattazione collettiva è garantito come diritto umano e come
diritto fondamentale del lavoro da molte fonti internazionali ed europee, tra
cui la Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali,
diverse convenzioni dell'OIL, in particolare le n. 87 e 98, l'articolo 11 della
CEDU o l'articolo 6, paragrafo 2, della Carta Social Europea (CSE). Per quanto
riguarda i diritti di contrattazione collettiva per i lavoratori delle
piattaforme, l'articolo 6.2 CSE è di particolare importanza: non solo ha
significato che tutti gli Stati membri dell'UE hanno accettato e sono vincolati
dall'articolo 6.2 CSE e, quindi, devono rispettarlo, ma è stato il Comitato
Europeo dei Diritti Sociali nel suo recente caso Irish Congress of Trade Unions
(ICTU) v. Ireland[3]
a sostenere che il criterio decisivo per quanto riguarda la garanzia dei
diritti di contrattazione collettiva è «piuttosto se c'è uno squilibrio di potere tra fornitori e
coloro che contrattano la manodopera».
Da
tale decisione consegue che non solo i lavoratori subordinati godono del
diritto alla contrattazione collettiva, ma tutti i prestatori di lavoro,
compresi i lavoratori autonomi che non hanno alcuna influenza sostanziale sul
contenuto delle condizioni contrattuali. Il Comitato sottolinea che queste
persone «devono avere la
possibilità di migliorare lo squilibrio di potere attraverso la contrattazione
collettiva». Come chiarimento, si potrebbe aggiungere che questo è vero,
indipendentemente dallo status (formale) del prestatore di lavoro. In altre
parole, anche nei casi in cui un lavoratore delle piattaforme fosse
(formalmente) autonomo, secondo un approccio teleologico e basato sui diritti
umani, godrebbe sempre di diritti di contrattazione collettiva quando c'è uno
squilibrio di potere rispetto a colui che contratta la manodopera.
III.
ATTORI
Sindacati
(tradizionali) e nuovi attori
Nella
maggior parte dei paesi, il quadro giuridico esistente segue la logica dei
vecchi modelli di organizzazione del lavoro. Pertanto, l'applicazione dei
diritti collettivi per le persone che lavorano nell'economia delle piattaforme
è piuttosto difficile. Una struttura di contrattazione basata sull'approccio
del singolo centro di lavoro e del singolo datore di lavoro, insieme alla
regola della maggioranza che esiste in molti Stati membri, implica difficoltà
strutturali nel perseguire la solidarietà tra i lavoratori delle piattaforme e
tra questi e i dipendenti che lavorano nella stessa unità di contrattazione.
Questo è particolarmente vero in quegli Stati membri in cui la contrattazione a
livello aziendale prevale sulla contrattazione a livello settoriale. Senza un
intervento legislativo, in molti paesi, questo modello decentralizzato non
incentiva i sindacati a sostenere i lavoratori delle piattaforme. Aprire un
dibattito sui diritti dei lavoratori delle piattaforme può essere
un'opportunità per ripensare i modelli di contrattazione esistenti e, in alcuni
paesi, per incoraggiare la contrattazione collettiva a livello settoriale.
In
tale situazione, dopo un decennio di lento adattamento, i vecchi attori
sembrano essere nella posizione migliore per integrare le prerogative
tradizionali e le nuove tecnologie. Tuttavia, un'analisi della realtà mostra
che i lavoratori delle piattaforme sono talvolta riluttanti ad aderire ai
sindacati tradizionali. Inoltre, gli stessi sindacati, almeno inizialmente, non
erano preparati ad affrontare la questione. Al fine di stabilire un modello
solido, si dovrebbe includere nel dibattito l'idea dei "sindacati smart",
che alla fine potrebbe anche portare a far sì che le «app si facessero
concorrenza tra loro». Incoraggiando il dibattito, sensibilizzando, creando correnti
di opinione, utilizzando lo stesso modello di business dell'economia delle
piattaforme, si potrebbero raggiungere più facilmente i lavoratori delle
piattaforme. In un modello di business basato sulla reputazione digitale, sia
per i lavoratori che per le aziende, non si può ignorare questa parte
dell'attività dei sindacati.
I
nuovi attori portano con sé anche nuove forme di intervento collettivo; questi
nuovi gruppi, però, non sono mai riusciti a concludere un accordo collettivo.
Hanno apportato nuove modalità di espressione dei conflitti lavorativi, come flash
mob, manifestazioni in bicicletta o blocchi. Hanno effettivamente creato
alcuni effetti che hanno destato attenzione, ma in ogni caso non sono
considerati attori negoziali efficaci.
Accordi a livello di settore o di azienda
Lo
scenario più probabile per quanto riguarda il futuro della contrattazione
nell'economia delle piattaforme è che rimangano in vigore i sistemi attuali.
Tuttavia, la loro efficacia dipenderà in larga misura dalla qualificazione
giuridica dei lavoratori delle piattaforme. Ciò che rimane irrisolto è il
dilemma del livello di contrattazione: gli accordi si devono stipulare a
livello aziendale o settoriale? La risposta a questa domanda dipende in larga
misura dalla forza dei rispettivi attori negoziali.
Il
panorama dei contratti collettivi attuali mostra che i primi accordi settoriali
relativi all'economia delle piattaforme, ad esempio il settore alberghiero e
della ristorazione in Spagna[4],
sono stati conclusi da sindacati (e organizzazioni datoriali) che non hanno
tenuto conto delle peculiarità di questa attività. Hanno solo ampliato il loro
ambito di applicazione soggettivo e assorbito l'economia delle piattaforme nel
sistema.
Anche nell'accordo
tra il sindacato danese 3F e Dansk Erhverv[5],
la Camera di Commercio danese, ha seguito il vecchio modello relativo agli
attori, ma ha fatto un passo avanti, poiché è stato negoziato specificamente
per i lavoratori dell'economia delle piattaforme. Inizialmente erano coperti
dall'accordo solo i dipendenti di Just Eat, trattandosi fondamentalmente di un
accordo a livello aziendale in termini di ambito soggettivo. Tuttavia, si è poi
diffuso ad altre aziende di consegna. Può quindi essere considerato il primo
vero accordo settoriale relativo all'economia delle piattaforme nel suo proprio
ambito. In Austria, si è concluso anche un accordo collettivo nel settore dei rider,
tra gli operatori tradizionali, le camere di commercio che rappresentano i
datori di lavoro e la federazione sindacale austriaca dall'altra parte.
Tuttavia, il suo ambito di applicazione soggettivo è limitato ai soli lavoratori
subordinati.
Il
terzo esempio è il più degno di nota: l'accordo nazionale italiano per la
consegna delle merci effettuato dai rider[6].
Gli attori negoziali sono una nuova organizzazione specifica dei datori di
lavoro, AssoDelivery, composta da piattaforme, e un sindacato tradizionale,
UGL, attraverso il suo dipartimento specifico, UGL Rider. Anche il campo di
applicazione personale è degno di nota, poiché include solo i rider lavoratori
autonomi. Questo accordo dimostra la capacità di adattamento e trasformazione
degli attori quando c'è la volontà di negoziare. Deve segnalarsi, tuttavia, che
questo accordo è stato dichiarato invalido da un tribunale del lavoro per
mancanza di rappresentatività dell’organizzazione sindacale stipulante
D'altra
parte, ci sono degli accordi a livello aziendale, come quello tra il sindacato
danese 3F e Hilfr del 2018[7]
o quello nel Regno Unito tra il sindacato GMB e Hermes del 2019[8].
Il modello per quanto riguarda la rappresentanza dei lavoratori è lo stesso.
Gli attori tradizionali hanno successo nel loro ruolo tradizionale quando
possono fare pressione sugli altri attori negoziali.
Qualunque
sia il livello di negoziazione, si possono trarre conclusioni chiare e dirette.
Nei pochi contratti collettivi che sono stati conclusi nell'ambio dell'economia
delle piattaforme, i sindacati tradizionali sono stati gli attori principali, e
hanno seguito le norme tradizionali.
Infine,
il ruolo delle organizzazioni dei datori di lavoro è il più opaco di tutti. Non
risponde più a un conflitto di classe, ma piuttosto di interessi, perché le
aziende tradizionali non condividono la loro posizione e prospettiva con le
nuove piattaforme. Secondo molte delle parti interessate, la posizione delle
piattaforme non è ricettiva nei confronti della contrattazione collettiva, ma
il caso italiano dimostra che ci sono delle eccezioni.
Nuove
forme di regolamentazione flessibile
In
diversi paesi, come l'Italia, la Francia o la Germania, si osserva un fenomeno
curioso: la comparsa di documenti o istituzioni nel campo dell'economia delle
piattaforme che cercano di influenzarla. Nessuno di essi è uno strumento di
contrattazione collettiva, ma, data la loro originalità, alcuni di essi
meritano di essere esaminati, alla ricerca di una terza via che alcuni
difendono.
Il primo di questi
documenti è stata la Carta di Bologna, la "Carta dei diritti
fondamentali dei lavoratori digitali nel contesto urbano", del 2018,
che non aveva alcun valore giuridico effettivo. È costituita da dodici articoli
che mirano a promuovere un'occupazione sicura e dignitosa, ma che sia allo
stesso tempo compatibile con l'adattabilità del mercato del lavoro digitale,
garantendo il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro per i
fornitori di servizi. La rappresentanza dei lavoratori e le controversie di
lavoro sono presenti nella Carta, ma non si parla di contrattazione collettiva.
In ogni caso, avendo riconosciuto i due strumenti essenziali per la
contrattazione, individuato i soggetti attivi e accettato le misure di
pressione, la Carta di Bologna sta creando l'ambiente giusto affinché si
sviluppi un processo di contrattazione collettiva come corollario di questo
riconoscimento.
La Germania ha fornito
diversi esempi a questo catalogo di azioni correlate, con l'interesse aggiunto
che implica il fatto di avventurarsi nel campo del crowdworking. In
primo luogo, c'è il Codice di Condotta Paid Crowdsourcing for the Better,
firmato da diverse aziende che proclamano il loro impegno unilaterale a
rispettare e garantire un decalogo di diritti. Non contiene alcuna menzione
della contrattazione collettiva, ma il suo contenuto si avvicina molto a quelli
che potrebbero essere oggetto della stessa in una fase più avanzata. Il suo
risultato più notevole è la creazione di un proprio meccanismo volontario di
risoluzione delle controversie, gestito dal sindacato IG-Metall. Si occupa solo
di controversie individuali ma, in una certa misura, ricorda alcuni importanti
risultati della contrattazione collettiva.
È importante anche il Frankfurt
Paper on Platform-Based Work, firmato da sette organizzazioni sindacali di
Austria, Germania, Danimarca, Svezia e Stati Uniti, con un ampio team di
consulenza tecnica. Tra i punti essenziali che elenca ci sono, innanzitutto, il
rispetto dei relativi contratti collettivi, ma, molto più importante, è
necessario insistere sul diritto dei lavoratori a organizzarsi. Una conseguenza
particolarmente rilevante di questo diritto è la capacità di negoziare e
l'affermazione che gli operatori delle piattaforme sono interlocutori adeguati ad
avviare delle negoziazioni.
IV.
CONTENUTO
C'è
consenso tra gli studiosi e le parti interessate sul fatto che la questione del
contenuto della contrattazione collettiva dovrebbe essere lasciata alle parti
sociali. Nessuna regolamentazione legale è considerata necessaria in tale
ambito.
L'analisi
dei contenuti reali della contrattazione collettiva nell'economia delle
piattaforme ci fornisce una risposta molto variegata. La classificazione
principale consiste in contenuti astratti, generali e specifici.
Il
primo gruppo si riferisce ai casi in cui i lavoratori dell'economia delle
piattaforme sono stati inseriti in accordi settoriali già esistenti, come è
avvenuto in Spagna con il settore alberghiero e della ristorazione. Questi
contratti collettivi non contengono nessuna norma specifica relativa ai
lavoratori delle piattaforme, ma hanno semplicemente esteso il loro ambito di
applicazione personale. L'analisi di
questi contenuti, quindi, è priva di qualsiasi interesse.
Il
secondo gruppo di contenuti include categorie tradizionali di regolamentazione
che hanno una dimensione speciale nell'economia delle piattaforme. Gli esempi
più evidenti sono la retribuzione e l'orario di lavoro: questioni che sono
sempre state presenti nel mercato del lavoro, ma che oggi hanno caratteristiche
importanti, come il ruolo dell'app
nel determinarle.
Il
primo accordo aziendale, firmato dal sindacato danese 3F e da Hilfr Aps, è
l'esempio perfetto di questa situazione, poiché copre tutte le questioni
tradizionali. Per quanto riguarda le retribuzioni, ad esempio, contiene la
seguente norma: «Attraverso la piattaforma, il lavoratore può fissare la sua retribuzione
individuale. Nel frattempo, non potrà mai essere inferiore alla retribuzione
stabilita in questo contratto collettivo». Un contenuto simile e ancora più
dettagliato si trova nell'accordo nazionale italiano. Non sono clausole
innovative, ma l'espressione visibile dello spazio potenziale che i contratti
collettivi possono occupare nell'ambito dell'economia delle piattaforme. Negli
stessi accordi, tuttavia, ci sono regole che riguardano i nuovi aspetti
tecnologici dell'estinzione del contratto di lavoro: "La cancellazione o
altra spersonalizzazione del profilo del dipendente sulla piattaforma sarà
considerata un licenziamento", secondo l'accordo danese. Un contenuto
simile si trova anche nell'accordo nazionale italiano. Si percepisce
chiaramente che questo accordo sta adattando le strutture esistenti. In realtà,
la maggior parte delle piattaforme prevede un ampio diritto di sospendere il
lavoratore o di porre fine alla sua collaborazione, di solito senza l'obbligo
di fornire una giustificazione o solo in base a criteri relativamente generici (ad
esempio facendo riferimento al suo punteggio senza indicare quale sia il
livello accettabile) e senza un periodo di preavviso. La contrattazione
collettiva può essere uno strumento utile per proteggere i lavoratori, poiché
può modulare questi ampi poteri.
Un'area
molto importante per l'adattamento è l'orario di lavoro. Mentre la legislazione
del lavoro non dovrebbe impedire ai lavoratori e ai datori di lavoro di trarre
vantaggio dalle moderne tecnologie, sono necessarie garanzie minime di orario
di lavoro per tutti i lavoratori. Questo non significa che tutte le istituzioni
e i limiti legali tradizionali possano essere applicati senza aggiustamenti.
Tuttavia, l'adattamento non deve essere inteso come un'esclusione volontaria:
le ragioni puramente tecniche non possono giustificare la mancata applicazione
delle garanzie dell'orario di lavoro. La contrattazione collettiva può essere
una soluzione per conciliare le esigenze dei nuovi tipi di lavoro e la
normativa sull'orario di lavoro. La contrattazione collettiva può introdurre
adeguate misure di protezione contro un'eccessiva enfasi sulla flessibilità
orientata al datore di lavoro, il che implica un processo di definizione delle
norme più trasparente e formale di quello delle contrattazioni individuali.
A
differenza della legislazione, le parti della contrattazione collettiva hanno
una comprensione molto migliore delle priorità del posto di lavoro o del
settore interessato, sono in grado di reagire rapidamente ai cambiamenti delle esigenze del
mercato. La legislazione dell'UE dà un ampio margine alla contrattazione
collettiva nella definizione delle norme sull'orario di lavoro. L'articolo 18
della direttiva sull'orario di lavoro permette deroghe agli articoli sul riposo
giornaliero, le pause, il periodo di riposo settimanale, la durata del lavoro
notturno e i periodi di riferimento attraverso contratti collettivi. L'evidenza
empirica mostra che le norme sull'orario di lavoro stabilite dai contratti
collettivi nei luoghi di lavoro digitali non sono solo una questione teorica.
Tuttavia, resta ancora da vedere come le parti possano utilizzare la clausola
di deroga della direttiva sull'orario di lavoro per stabilire misure specifiche
pensate proprio per i lavoratori delle piattaforme, anche nel quadro del
rapporto di lavoro.
Il
terzo gruppo di contenuti è il più "esplorativo". È l'ambito in cui
la contrattazione collettiva può essere uno strumento di innovazione,
affrontando questioni che finora non sono state una preoccupazione tradizionale.
Il recente decreto francese Décret no. 2021-952[9],
per esempio, ha stabilito una normativa sui dati dei lavoratori delle
piattaforme e sull'accesso individuale ad essi.
I punteggi che ricevono i lavoratori e il loro controllo, facendo un
passo avanti, potrebbero essere anch'essi regolati da contratti collettivi. La
negoziazione e il monitoraggio dell'algoritmo utilizzato dalla piattaforma o il
regime di punteggio che i lavoratori ricevono è la più notevole di queste
possibilità.
La
legislazione spagnola ha già aperto una possibile strada per lo sviluppo
collettivo, dato che la legge rider ha incluso il diritto dei
rappresentanti dei lavoratori di «essere informati dall'azienda in merito ai parametri,
alle regole e alle istruzioni su cui si basano gli algoritmi o i sistemi di
intelligenza artificiale che influiscono sul processo decisionale che possono
influenzare le condizioni di lavoro, l'accesso e il mantenimento
dell'occupazione, compresa la profilazione». Questo è, ovviamente, un primo
passo limitato poiché riguarda i diritti di informazione e non la contrattazione
collettiva. Ma la porta è stata aperta a nuovi regolamenti.
In
ogni caso, si deve garantire il diritto di esigere trasparenza nelle decisioni
e nei risultati dei sistemi di IA, nonché degli algoritmi sottostanti,
stabilendo il diritto di impugnare le decisioni adottate dagli algoritmi e di
farle controllare da un essere umano. Attraverso accordi collettivi raggiunti
dalle parti sociali, le parti potrebbero affrontare, ad esempio, sia
l'inserimento di dati nei sistemi automatizzati di reclutamento e promozione
dei lavoratori, sia il controllo dei lavoratori sulla vita successiva dei dati
creati da questi sistemi.
Le
parti sociali di tutti i settori potrebbero agire come punta di diamante su
questo tema. Nel Libro Verde sul Futuro del Lavoro in Portogallo[10],
ad esempio, una delle linee di riflessione è quella di «incoraggiare, in
particolare, la regolamentazione dell'uso degli algoritmi nel contesto della
contrattazione collettiva, coinvolgendo le parti sociali per garantire che la
questione sia trattata a livello di contratti collettivi, al fine di garantire
un uso appropriato dell'IA e poter riflettere le esigenze specifiche di ogni
settore».
I
contratti collettivi potrebbero anche rafforzare i principi che minimizzano i
nuovi rischi associati al comportamento autonomo dell'IA, stabilendo requisiti
che garantiscano la protezione della privacy e dei dati personali,
l'uguaglianza e la non discriminazione, l'etica, la trasparenza e la
possibilità di spiegare i sistemi basati su algoritmi, sia per quanto riguarda
la selezione dei candidati a un posto di lavoro, che l'esecuzione del contratto
di lavoro e l'ispezione dell'attività professionale del lavoratore. Inoltre, i
contratti collettivi potrebbero regolare le consultazioni dei lavoratori ai
sindacati sull'implementazione, lo sviluppo e il dispiegamento dei sistemi di
IA.
V.
UNA CONCLUSIONE FINALE
La
nostra ricerca ha dimostrato che, in realtà, la contrattazione collettiva
esiste per i lavoratori dell'economia delle piattaforme negli Stati membri,
anche se ci sono differenze nell'ambito di applicazione soggettivo degli
accordi, gli attori coinvolti, i contenuti regolamentati e gli effetti che
hanno gli accordi collettivi.
Dato
che l'economia delle piattaforme e, nello specifico, il crowdworking è
una questione transnazionale, la cosa più adeguata in questo caso è una
risposta dell'UE. Naturalmente, l'intervento dell'Unione deve essere conforme
al diritto nazionale e alle pratiche di relazioni in ambito lavorativo. Anche
così, i Trattati offrono possibilità di regolamentazione nell'ambito del
diritto del lavoro collettivo.
A
livello nazionale, gli attori tradizionali hanno avuto successo nel concludere
contratti collettivi nell'ambito dell'economia delle piattaforme. Anche se le
parti sociali europee sembrano essere reticenti sul loro ruolo nella
regolamentazione della contrattazione collettiva, i sindacati sembrano aver
raccolto la sfida di regolare la contrattazione collettiva nell'economia delle
piattaforme. I nuovi attori non hanno ancora mantenuto le loro promesse. La
nostra ricerca ha anche dimostrato che gli accordi sono stati conclusi a
livello aziendale da singoli datori di lavoro e da associazioni tradizionali di
datori di lavoro, soprattutto a livello settoriale. Tuttavia, per creare una
base comune di diritti, gli accordi settoriali sembrano essere i più
appropriati.
Per
quanto riguarda il contenuto dei contratti collettivi nell'economia delle
piattaforme, la contrattazione collettiva dovrebbe essere usata come uno
strumento per stabilire una regolamentazione dettagliata. Ci sono questioni particolari,
come la regolamentazione degli algoritmi applicati, che sono più specifiche di
questo settore. Pertanto, una soluzione su misura concordata tra le parti
sociali sembra più appropriata delle regole generali stabilite dal diritto nazionale.
[1] Questo articolo è una
sintesi del progetto di ricerca COGENS (VS/2019/0084), finanziato dall'Unione
Europea. Riflette solo il parere degli autori, e la Commissione Europea non è
responsabile di qualsiasi uso che possa essere fatto delle informazioni ivi
contenute. Gli autori di questo lavoro sono José María Miranda Boto ed
Elisabeth Brameshuber, con contributi di Gábor Kártyás, Barbara Kresal, Teresa
Coelho Moreira, Daniel Pérez del Prado e Kübra Doğan Yenisey e materiali forniti dagli
altri membri del team del progetto.
[3]
Denuncia n. 123/2016, Decisione adottata nel merito del caso del 12 settembre
2018
[6] https://olympus.uniurb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=23625:rider1592020&catid=242&Itemid=139
[7] https://www2.3f.dk/~/media/files/mainsite/forside/fagforening/privat%20service/overenskomster/hilfr%20collective%20agreement%202018.pdf
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